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Vacanza rovinata: oltre ai danni patrimoniali, il turista ha diritto anche al risarcimento dei danni morali
Alessandro Turano
Con la recente sentenza n. 5271 del 20/02/2023 la Suprema Corte di cassazione, nella sua Sezione Terza, ha preso posizione sulla risarcibilità del c.d. “danno da vacanza rovinata”, tornando così ad argomentare sulla categoria ampia e onnicomprensiva del “danno non patrimoniale” che in sé racchiude qualsiasi ingiusta lesione di un valore inerente alla persona e costituzionalmente garantito. Stante l’evolversi dei costumi e delle abitudini sociali, il Collegio ha ribadito che le vacanze, intese come momento di riposo ed evasione dalla routine quotidiana, costituiscono, alla luce dell’art. 2 Cost., una libera e piena esplicazione delle attività realizzatrici dell’individuo.
In particolare, la legislazione di settore prevede il risarcimento dei pregiudizi non patrimoniali rappresentati dal disagio e dall’afflizione subiti dal turista per non aver potuto godere pienamente del viaggio programmato.
La pronuncia prende le mosse dal seguente caso concreto.
Due viaggiatori convenivano in giudizio un’agenzia di viaggi chiedendo il risarcimento del danno non patrimoniale da vacanza rovinata per i problemi verificatisi in merito al trasporto prima e alla sistemazione in albergo poi.
La domanda risarcitoria avanzata veniva accolta dal Giudice di Pace e respinta in sede di appello dal Tribunale di Napoli, sulla base dell’intervenuta prescrizione del diritto al risarcimento del danno e dell’inapplicabilità del termine di prescrizione triennale.
Con sentenza n. 2297 del 2019 il Giudice di seconde cure aveva infatti ritenuto che alla fattispecie sottoposta al suo esame andasse applicato l’art. 45, co. 3, del d.lgs. n. 79/2011 vigente all’epoca dei fatti, secondo cui “Il diritto al risarcimento del danno si prescrive in un anno dal rientro del turista nel luogo della partenza”, e non – come diversamente sostenuto dai viaggiatori vittime del danno – l’art. 44, commi 1 e 3, dello stesso decreto, a norma del quale “Il danno derivante alla persona dall’inadempimento o dall’inesatta esecuzione delle prestazioni […] oggetto del pacchetto turistico […] si prescrive in tre anni dalla data del rientro del turista nel luogo di partenza”.
Secondo il Tribunale di Napoli, dunque, essendo il viaggio terminato il 20 agosto 2012 e l’atto di citazione notificato il 4 febbraio 2014, il diritto era prescritto.
A sostegno della decisione il Giudice d’appello spiegava che siffatta interpretazione sarebbe «confermata, a livello sistematico, dalla nuova formulazione della norma citata la quale espressamente prevede per il danno alla persona l’applicazione del termine di prescrizione ordinariamente applicabile, con evidente riferimento ai danni fisici». Argomentava inoltre che il termine «danno alla persona», di cui al testo allora vigente dell’art. 44 del d.lgs. n. 79/2011, andasse riferito «ai soli danni fisici e non anche a quelli morali».
Aderendo all’impostazione tradizionale, il Giudice di seconde cure riteneva perciò ristorabile il solo danno patrimoniale, quest’ultimo agevolmente quantificabile, secondo i principi generali dell’ordinamento, nella differenza tra il prezzo corrisposto per i servizi pattuiti e il valore dei servizi resi, con l’eventuale aggiunta di una somma corrispondente al lucro cessante da liquidarsi in via equitativa.
La decisione veniva impugnata dai due viaggiatori che ricorrevano per Cassazione con quattro motivi di doglianza. La Suprema Corte accoglieva il secondo e il terzo motivo, dichiarava inammissibile il primo e assorbito il quarto.
Per l’esatta ricostruzione dell’iter argomentativo della Corte, è qui di particolare interesse notare che
i giudici di legittimità hanno rilevato, in particolare, la fondatezza del secondo motivo di ricorso, con il quale si deduceva la violazione degli artt. 47, 44 e 45 del d.lgs. n. 79/2011 in rapporto all’affermata prescrizione del diritto azionato e concernente i danni non patrimoniali patiti dalle vittime.
Segnatamente è stato considerato che il giudice dell’appello, accogliendo la domanda della società di viaggi convenuta in giudizio, non ha attribuito «rilevanza al radicale e consolidato mutamento di prospettiva compiuto dalla giurisprudenza […] in tema di danno non patrimoniale, individuato come ampia ed onnicomprensiva categoria concernente qualsiasi ingiusta lesione di un valore inerente alla persona […]».
I giudici della Corte, enfatizzando il dettato dell’art. 2 Cost., hanno difatti osservato che l’ingiusta lesione di un valore della persona costituzionalmente riconosciuta, per giurisprudenza concorde, «è stata ascritta ai “casi previsti dalla legge” che, ai sensi dell’art. 2059 cod. civ., consentono il risarcimento dei danni non patrimoniali». In questa prospettiva – continua la Corte – ai diritti inviolabili della persona non può negarsi, a fortiori, la tutela civile data dal risarcimento dei danni non patrimoniali, assicurando quest’ultima «una protezione basilare, riconoscibile a tutti e idonea a svolgere una funzione solidaristico-satisfattiva» integrata, qualora in presenza di particolare gravità soggettiva dell’illecito e in rapporto alla componente del danno morale, «anche da una funzione individual-deterrente» (Corte cost. 15 settembre 2022, n. 205).
Sul piano logico-concettuale l’orizzonte ermeneutico è quello tracciato dalla nota sentenza Corte cost. 11 luglio 2003, n. 133 che, a fronte della tutela assicurata agli “interessi di rango costituzionale inerenti alla persona”, giudicò infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2059 c.c. sollevata con riferimento agli artt. 2 e 3 Cost., valorizzando piuttosto, in motivazione, il contributo che le sentenze “gemelle” della Cassazione (Cass. civ., sez. III, 31 maggio 2003, n. 8827 e Cass. civ., sez. III, 31 maggio 2003, n. 8828) diedero al «tormentato capitolo della tutela risarcitoria del danno alla persona, in virtù di un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2059 cod. civ., tesa a ricomprendere nell’astratta previsione della norma ogni danno di natura non patrimoniale derivante da lesione di valori inerenti alla persona […]», incluso il danno biologico.
In aggiunta – sottolinea la Corte – a sostegno di detta interpretazione è pure la giurisprudenza di legittimità che nel tempo, e fuori dalla generale portata dell’art. 2 Cost., ha riconosciuto il fondamento della risarcibilità del danno non patrimoniale giustappunto nella «cosiddetta vacanza rovinata» come legislativamente disciplinata (Cass. civ., sez. III, 4 marzo 2010, n. 5189).
Per ciò, ragionevolmente, i giudici di Cassazione hanno richiamato la legislazione di settore concernente i “pacchetti turistici”, emanata dalla normativa comunitaria in materia di tutela del consumatore e interpretata alla luce degli orientamenti della Corte di Giustizia UE, che prevede il risarcimento dei pregiudizi non patrimoniali subiti per effetto di inadempimento contrattuale.
Il rinvio operato dai giudici di legittimità è segnatamente alla sentenza Corte di Giustizia UE 12 marzo 2002, C-168/00 che, per la prima volta, affermò la risarcibilità del danno non patrimoniale da inesatta esecuzione dei servizi previsti nel contratto di viaggio “tutto compreso”. Con essa il Giudice europeo chiarì che l’art. 5 della direttiva n. 90/314/CEE andasse interpretato «nel senso che in linea di principio il consumatore ha diritto al risarcimento del danno morale derivante dall’inadempimento o dalla cattiva esecuzione delle prestazioni» in cui si articola in viaggio all inclusive.
L’intervento chiarificatore della Corte di Giustizia – osserva la Cassazione – ha orientato dottrina e giurisprudenza nazionali che hanno così iniziato a interpretare le espressioni generiche contenute nel d.lgs. n. 111/95 (ex artt. 13 e 14) «come comprensive anche del danno non patrimoniale».
Quale ulteriore fondamento normativo gli Ermellini ricordano infine il Codice del turismo (d.lgs. n. 79/2011) che viene in rilievo nel caso di specie e che prevede espressamente, all’art. 47 (ora art. 46 a seguito del d.lgs. n. 62/2018), «il danno da vacanza rovinata per il caso di inadempimento o inesatta esecuzione delle prestazioni che formano oggetto del pacchetto turistico», sempre che inadempimento o inesatta esecuzione non siano di scarsa importanza ai sensi dell’art. 1455 c.c.
Alla luce del quadro normativo e giurisprudenziale richiamato, di fonte costituzionale nazionale e sovranazionale, la Suprema Corte di Cassazione conclude che è «manifestamente errata» l’affermazione, contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui l’espressione “danno alla persona” debba riferirsi ai soli danni fisici e non anche a quelli morali, «sia perché è tale l’accezione tecnica del termine e sia perché, altrimenti, la distinzione non avrebbe senso».
Nota infatti che «in tema di cd. vacanza rovinata […] si verte sempre di danni cd. morali in quanto quelli patrimoniali sono risarcibili a prescindere e già oggetto di normative speciali».
Sulla scia di quanto in argomento, per la Sezione III della Cassazione la disposizione di cui all’art. 44 del d.lgs. n. 79/2011, applicabile alla fattispecie in esame (e che fissa in tre anni il termine prescrizionale per “il danno derivante alla persona dall’inadempimento o dall’inesatta esecuzioni delle prestazioni” contenute in un pacchetto turistico), deve essere interpretata nel senso che tra i danni alla persona sono compresi quelli di carattere non patrimoniale di cui all’art. 2059 c.c., da intendersi questi ultimi in definitiva «come categoria ampia ed unitaria concernente la lesione di interessi inerenti alla persona».
Fondamentale per comprendere appieno l’interpretazione della Corte è – ancora una volta – la lezione delle Sezioni Unite del novembre 2008, secondo cui la valutazione del danno non patrimoniale ha natura “sintetica”, dal momento che confluiscono in esso tutte le tipologie di pregiudizi non economici (un tempo liquidate separatamente) con l’obiettivo di prevenire o eliminare il rischio di duplicazioni risarcitorie.
In questo senso, la valenza unitaria del danno non patrimoniale importa che, ai fini della sua esatta quantificazione, occorrerà prendere in considerazione sia il pregiudizio biologico, sia quello esistenziale sia, infine, quello morale, derivante dal patema d’animo e dalle sofferenze sopportate dalla vittima a causa dell’inadempimento.
In conclusione, e così motivando, la Corte di legittimità cassa la sentenza e la rinvia al Tribunale di Napoli, per il riesame della vicenda processuale in ottemperanza ai principi di diritto enunciati.
Sezione: Sezione Semplice
(Cass. Civ., Sez III, 20 febbraio 2023, n. 5271)
stralcio a cura di Francesco Taurisano
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